GIANNI DE TORA |
CARTELLE /mostre di gruppo |
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1996 Istituto Suor Orsola di Napoli 8-28 Gennaio |
"GEOMETRIA E RICERCA 1975-1980'' UNA RICOGNIZIONE POSTUMA DEL GRUPPO A CURA DI MARIANTONIETTA PICONE ALL'ISTITUTO SUOR ORSOLA BENINCASA DI NAPOLI |
ARTICOLO DI MASSIMO BIGNARDI SUL QUOTIDIANO ''IL DENARO'' DEL 15-21 GENNAIO 1996 |
Sette piccole personali in un'unica esposizione Geometria mediterranea Nella lettera inviata alla rivista romana « Arte e società » nei primi del 1975, redatta da Riccardo Riccini insieme a Barisani, De Tora, Di Ruggiero, Oste, Tatafiore, si legge che « nella produzione specifica nostra il comune riferimento alla geometria non è sola e semplice applicazione di una logica della deduzione ma la considera anche proiezione e strumento 'storico' di riconoscimento e riorganizzazione del percepito; ciò in quanto la geometria, non idealisticamente, è uno strumento umano, una metrica, di identificazione e analisi, rinvenimento e attribuzione di significato, infine di ricostruzione articolata dei prelievi della realtà osservata. E questa è tanto quella della memoria o della storia specifica della disciplina arte, tanto della ragione, del conscio, che delle pulsioni inconsce ». È una posizione lucidamente ritagliata nel magmatico focolaio di creatività partenopea, particolarmente surriscaldato dagli interventi nel sociale, registrati a partire proprio dal '75: una posizione che chiarisce come i sei artisti, in sostanza il nucleo promotore di quello che, dopo l'uscita di Oste e l'adesione di Testa e Trapani, si chiamerà il gruppo ''Geometria e Ricerca'' , abbia posto come piano comune il rapporto con la società, guardando quindi in direzione di un deciso impegno etico, cioè di un particolare coinvolgimento nelle spire della vita che è storia e « realtà osservata » . Al gruppo Geometria e Ricerca, ai lavori degli artisti che dal 1976 al 1980 hanno dato vita ad un fitto programma di incontri e di esposizioni, l'Istituto Suor Orsola Benincasa ospita, fino al 28 gennaio, un'ampia e articolata mostra: si tratta di un percorso suddiviso in sette piccole personali che, se pur rigidamente separate l'una dall'altra, offrono un quadro al quanto esauriente degli indirizzi sui quali si muove ciascuno dei setti artisti. Innanzitutto affiora la vivacità di un tracciato creativo ripreso dalla tradizione delle neoavanguardie napoletane, in particolare dalla stagione concretista, nella quale operano tra il 1950 e il 1954 insieme a Barisani e Tatafiore, anche De Fusco e Venditti e non molto distanti Bisanzio e Giordano. Alle energie attinte dalle esperienze di quegli anni, si affiancano vivi segnali desunti dall'esperienza dell' Arte Povera, in tal senso si vedano alcune opere di Di Ruggiero dei primi anni Settanta, o da istanze concettuali alle quali si richiamano in particolare Riccini, in tal senso di veda « Raffaello's Eros », una serie di sette tele emulsionate del '76 ed anche la bellissima serie delle « scritte » esposte da Tatafiore nella personale organizzata dallo Studio Ganzerli a Napoli nel novembre 1975. È questa l'evidenza di una nuova tensione creativa che anima le scelte del gruppo, in direzione proprio di una nuova concezione della geometria che guarda alle proprie matrici, al bagaglio antropologico e lontana dalla seriosità dei concretisti o degli astrattisti che si richiamano a Mondrian: evidenza ben sottolineata due anni dopo, nel maggio '77, da Enrico Crispolti nella presentazione al catalogo della mostra del gruppo alla galleria il Salotto di Como. « La linea di lavoro che questa mostra documenta - scrive Crispolti - va letta anch'essa in questa condizione di fondo, e va letta quindi nello sforzo di fondare una specificità di ricerca nell'ordine di analisi di strutture astratte, nel senso, implicito almeno, di una risposta culturale connessa a tale condizione e alla problematica specifica, direi, persino in qualità antropologica, di un territorio culturale e geografico ». Avvertenza che, soprattutto per quanto concerne le scelte operate successivamente al 1980 e nel corso degli anni Ottanta e Novanta, segneranno le ricerche di Barisani e di Gianni De Tora (di quest'ultimo si vedano gli acquerelli e le tempere esposte qualche anno fa alla Galerie Lauter di Mannheim), nelle quali si ritrova, più che altrove, l'istigante confronto con la propria matrice antropologica. Il gruppo Geometria e Ricerca ha segnato una pagina intensa del tumultuoso ed acceso dibattito artistico sviluppatosi a Napoli negli anni Settanta, quale apertura ad un rinnovato confronto dialettico, di proposta in direzione di una partecipazione più ampia: tutto ciò prima che Napoli fosse avvolta, negli anni Ottanta, dalla stagnante e omologante aria di un internazionalismo di terza mano. È una pagina che ha senso in quanto espressione di un dibattito a sette voci, misura di un dibattito di confronto, di analisi e di proiezione comune: un progetto etico che sottende l'intera esperienza e che la mostra odierna purtroppo, con l'incomprensibile scelta di strutturare il percorso in sette piccole personali, non restituisce appieno. |
ARTICOLO DI CIRO RUJU SUL QUOTIDIANO ''NAPOLI NOTTE'' DEL 14.1.1996 |
Il Gruppo contro il silenzio Geometria e Ricerca Nel volume "Storia dell'avanguardia artistica napoletana 1950/1970" pubblicato nel gennaio 1971 (testo tanto letto ma volutamente poco citato dagli storici napoletani) emerge con chiarezza il senso e il valore che il "Gruppo" ha per l'artista napoletano. Valore e senso che si riscontrano con lucidità dialettica sin dal primo confermarsi del Gruppo Sud 1947, a cui fa seguito il "Gruppo Concretista" 1954, il "Gruppo '58"del 1959 e perché no il "Gruppo Geometria e ricerca" del 1975 e che qui vogliamo ribadire giacché ci sembra pretestuoso voler so- vraccaricare di significati eventi che di per sè hanno una motivazione molto più semplice. L'artista napoletano è stato sempre (storicamente verificato) un undividualista per eccellenza per sua fortuna e che se in dati momenti storici si aggrega è perchè, non trovando in se la forza e gli strumenti (la possibilità di esporre o di interessare il critico di turno che ha un certo potere) cerca con l'aggregazione di sfondare il muro del silenzio che lo circonda. Realtà che spiega l' eterogenità costante degli artisti che hanno aderito ai particolari gruppi e che emerge anche in questa riproposizione del "Gruppo Geometria e ricerca 1975/1980" curata da Marioantonietta Picone Petrusa presso l'istituto Suor Orsola Benincasa (Napoli 8/28 gennaio) dove l'apriori geometrico è solo concettualmente il motivo che accumuna il campo di ricerca degli artisti. E voler a tutti i costi dopo i 20 anni ricollegare questo movimento al più noto Mac del 1954 solo perché Barisani, Tatafiore (esponenti del precedente) aderiscono al nuovo gruppo che comprende Carmine Di Ruggiero, Gianni De Tora, Riccardo Alfredo Riccini, Giuseppe Testa, Riccardo Trapani, mi sembra riduttivo e non si vuole tener conto che i singoli artisti hanno vissuto sino al 1975 esperienze partecipative di alto profilo artistico, basterebbe ricordare l'esperienza informale di Carmine Di Ruggiero la cui partecipazione alla Biennale del 1954 sarà determinante per le sue spe- rimentazioni successive e che appunto non hanno nulla da spartire con la tesi teorica del breve seppure suggestivo movimento Mac. Ma torniamo alla rassegna che ci presenta opere (dopo quindici anni) coerenti e di grande vitalità di artisti che, nell'arco dei cinque anni dell'esistenza del Gruppo Geometria e ricerca, si sono impegnati in una fase che non ha nulla da invidiare ai più ben noti e sostenuti artisti di oltre il Volturno. Una esperienza questa di Geometria e ricerca sostenuta, nella tavola rotonda che ha preceduto l'inaugurazione della mostra, da Picone Petrusa, Gillo Dorfles, Paolo Finizio, Enrico Crispolti con una lettura storico-critica di grande interesse, con un cipiglio ironico riduttivo da Angelo Trimarco |
ARTICOLO DI ENZO BATTARRA SUL QUOTIDIANO ''IL GIORNALE DI NAPOLI'' DEL 6.1.1996 |
Arte. Immaginario geometrico: parlano Renato Barisani e Gianni De Tora CERCHIO DI UNA RIVOLUZIONE '' Credo non sia vano in questa occasione dedicare esclusivamente l'attenzione a una specifica area espressiva nel ben noto e più volte commentato quadro storico della cultura figurativa napoletana del secondo dopoguerra: l'area dell'astrattismo geometrico'': così esordiva il critico e storico dell'arte Luigi Paolo Finizio nel suo testo introduttivo pubblicato sul volume «L'immaginario geo- metrico», edito a Napoli nel 1979 dall'Istituto grafico editoriale italiano. Il libro era interamente dedicato al gruppo «Geometria e ricerca», formatosi a Napoli nel 1976. Vi aderivano Renato Bari- sani, Gianni De Tora, Carmine Di Ruggiero, Riccardo Alfredo Riccini, Guido Tatafiore, Giuseppe Testa e Riccardo Trapani. Nel 1980 l'attività del gruppo si esaurì. A venti anni di distanza dalla costituzione di quel movimento artistico, l'Istituto Suor Orsola Benincasa dedica, lunedì 8 gennaio, una mostra e una ta- vola rotonda agli astrattisti partenopei. Il convegno, previsto per le 17.30, sarà presieduto dal direttore dell'Istituto Francesco De Sanctis e vedrà gli interventi di Enrico Crispolti, Gillo Dorfles, Luigi Paolo Finizio, Mariantonietta Picone e Angelo Trimarco. La mostra si inaugurerà alle 19. «L'astrazione geometrica - sostiene Renato Barisani, nume tutelare del gruppo - ha sempre avuto la vita difficile in una città come Napoli. Questa scelta espressiva è lontana dalla visione partenopea della vita, quindi è sempre stata avvertita poco dai napoletani». E' vero. L'incidenza di una linea razionale dell'arte ha specifiche difficoltà di vita nella cultura partenopea. Eppure, il gruppo «Geometria e ricerca» nasceva in città riprendendo e modificando la tradizione astrattista comunque radicata a Napoli fin dagli anni del secondo dopoguerra. Il geometrismo del gruppo, inoltre, era lontano tanto dal modello del Bauhaus quanto da Mondrian, attingendo a un istinto ludico di marca dada e duchampiana, non disgiunto, però, da una linea di ricerca analitica ecognitiva che consente di accostarlo alle istanze concettuali. «In pratica la mostra che si inaugura lunedì al Suor Orsola Benincasa - prosegue Renato Barisani - non è altro che la storicizzazione del movimento ed è stata voluta e organizzata dalla Picone. La prima mostra del gruppo fu a Napoli, all' Arte Studio Ganzerli, nel '76. Ne seguirono tante: al Museo del Sannio a Benevento, con presentazione di Filiberto Menna, alla Galleria del Fiume a Roma, testo di Enrico Crispolti, e ancora a Firenze, Bergamo, Como, Bologna, Caserta. Nonostante questo, a Napoli "Geometria Ricerca" resta quasi sconosciuta. Ecco la necessità di storicizzarla anche nella nostra città. Pertanto, in questa mostra ci saranno manifesti e articoli inerenti l'attività del gruppo, scioltosi poi nell'80 per una sorta di stanchezza intervenuta all'interno della ricerca di ognuno di noi». Ma come nasceva il gruppo? E' lo stesso Barisani a puntualizzare: «Posso dire che Tatafiore ed io ne siamo stati i precursori. Entrambi avevamo aderito al Mac (Movimento arte concreta) fin dalle prime fasi negli anni '50. "Geometria e Ricerca" è la conseguenza del Mac e della ricerca neocostruttivista». E a proposito del gruppo «Geometria e Ricerca» così scriveva Enrico Crispolti nel 1977 nel presentare la mostra alla galleria «Il Salotto» di Como: «La linea di lavoro che questa mostra documenta va letta nello sforzo di fondare una specificità di ricerca nell'ordine di analisi di strutture astratte, nel senso - implicito almeno - di una risposta culturale connessa a tale condizione e alla problematica specifica, direi, persino in qualità antropologica, di un territorio culturale e geografico». Il problema del territorio ricorre, quindi, nei temi di «Geometria Ricerca», un territorio - quello napoletano -non sempre disponibile ad accettare l'astrazione. «Il gruppo - chiarisce Gianni De Tora, artista tuttora impegnato nel campo della ricerca astratto-geometrica - si poneva una preoccupazione: quella di capire la propria incidenza culturale sul territorio. In realtà ci costituimmo in movimento per un'esigenza di scelte linguistiche. Ognuno di noi, per conto proprio, portava nel suo studio una ricerca simile sull'astrazione geometrica. In effetti la finalità del gruppo diventò quella di operare un rinnovamento della visione, pur volendo rimanere legato a una caratte- rizzazione partenopea. A Napoli negli anni '70 era ancora molto presente la componente folklorica, il ricordo romantico della città come cartolina, l'immagine oleografica. "Geometria e Ricerca" voleva liberare questa visione e andare oltre, ponendosi come contrasto con questi stilemi, stabilendo comunque dei presupposti che fossero interni alla cultura partenopea ma che guardassero ai movimenti internazionali». Perché nel 1980 il gruppo concluse la propria esperienza? E' De Tora a chiarirlo: «Proprio nell'80 si era deciso, da parte delle forze culturali napoletane, di raccogliere il lavoro da "Geometria e Ricerca" e fare una grande mostra. Il terremoto non consentì la realizzazione del progetto. Inoltre, Tatafiore morì per le conseguenze del sisma. E il gruppo si sfaldò». |
foto di repertorio |
ARTICOLO DI GINO GRASSI SULLA RIVISTA '' NORD E SUD'' DI MARZO 1996 |
AVANGUARDIE D'AUTORE Barisani e gli altri artisti di ''Geometria e Ricerca'' ricordati in una retrospettiva presso l'Istituto Suor Orsola Benincasa La Napoli dell'astrazione rivive in una mostra storica I sette artisti che fecero parte del Gruppo « Geometria e Ricerca », autentici protagonisti di un momento esaltante della investigazione pittorica a Napoli (soltanto adesso preso in considerazione da alcuni storici dell'arte e dall'opinione pubblica), vengono ricordati in una storica mostra in corso presso l'Istituto universitario « Suor Orsola Benincasa ». L'articolata rassegna, aperta alla presenza di un pubblico numeroso ed attento, composto, oltre che dagli appassionati d'arte frequentatori abituali di questo tipo di manifestazioni, anche da molti dei pittori e degli uomini di cultura più in vista della città, ha il merito di far conoscere ai napoletani una operazione artistica durata appena cinque anni (1975-:-1980);- che ha avuto tuttavia il merito di stabilire un « distinguo» tra un impegno creativo a suo modo rivoluzionario, che si riallacciava ad una tematica trionfante in Europa, ed una cultura pittorica strettamente figurativa, legata alla migliore tradizione napoletana. Alcuni degli artisti presenti in questa significativa manifestazione erano già assai noti all'epoca della loro entrata nel Gruppo di « Geometria e Ricerca» e sono Renato Barisani, Guido Tatafiore e Carmine di Ruggiero. Gli altri, comparsi sulla scena pittorica parecchi anni dopo, sono Gianni De Tora, Riccardo Riccini, Giuseppe Testa e Riccardo Trapani. Per Tatafiore, Riccini e Testa, che si sono spenti nel corso dell'ultimo quindicennio, si tratta di una vera e propria retrospettiva. Tra gli storici che hanno presentato la manifestazione c'era Enrico Crispolti, tra i più acuti osservatori dei fenomeni artistici contemporanei, che in una preziosa opera sui pittori della nostra città orientati verso la ricerca astratta, data alle stampe qualche anno fa, parlò di « Una linea napoletana », non dimenticando di porre, tra gli « antenati» del Mac partenopeo (« Movimento astratto- concreto ») gli stessi Barisani e Tatafiore, affiancando poi i loro vari De Fusco e Venditti, anch'essi rivoluzionari investigatori estetici e co-promotori del neocostruttivismo vesuviano; e tra i seguaci di tutti gli artisti nominati, Crispolti pone i giovanissimi Enea Mancino, Eduardo Ferrigno, Antonio Izzo, Mario Lanzione, Gianni Rossi e Antonio Malavenda, considerando questi ultimi cinque quasi come i «nipotini» di Barisani. Del quale Barisani ho parlato a lungo in un articolo scritto per «Nord e Sud» in occasione della sua recente consacrazione milanese, sostenendo che il geniale pittore e didatta si è dimostrato, per gli artisti napoletani più giovani orientati verso il costruttivismo, una guida coraggiosa ed esperta quanto attenta all'analisi fenomenologica, avendo anticipato quanto di più nuovo s'è prodotto in quasi mezzo secolo nella nostra città, a partire dal disordinato dopoguerra, quando un 'arte imperniata quasi completamente sulla figura non dava spazio ad una ricerca che, partendo dal recupero dell'immagine geometrica, si poneva anch'essa l'obiettivo dell'analisi del naturale. Riconosciuto al grande caposcuola ciò che gli spetta per i suoi superiori meriti, mi pare importante analizzare l'opera sperimentale degli altri artisti presenti nella mostra del Suor Orsola , partendo dal compianto Guido Tatafiore , spentosi poco più che sessantenne, qualche giorno dopo il terremoto del 1980. D'altronde chi visita questa essenziale rassegna non può non rendersi conto dell'importanza dell'azione avanguardistica del Tatafiore, all'interno della ricerca pittorica di punta della nostra città. Un artista, dunque, ormai «storicizzato », che aveva fatto parlare per la prima volta di sé nei primi anni cinquanta, ai tempi della sua partecipazione al « Gruppo Sud », quando si rivelò in possesso di una forte carica ironica e si fece propugnatore di un astrattismo assai originale: che pur accettando le premesse del Costruttivismo classico, immetteva nella progettazione dell'opera spunti nuovi. Certo, non si può negare che, come tutti i veri talenti protagonisti della «ri- voluzione» astratta, anche Guido Tatafiore fosse tormentato da dubbi e da esigenze di recuperare quanto più possibile il senso dell'esistenza. Per raggiungere questo obiettivo, il giovane maestro cercò di adeguare la propria operazione ai nuovi fenomeni della vita associata, alla problematica del territorio ed allo sviluppo socio-urbanistico della città contemporanea. Ma nel portare avanti questa difficile operazione, Tatafiore fece registrare delle pause nella propria attività creativa: interruzioni provocate da ripensamenti e da improvvise crisi, da necessarie prese di coscienza e dal timore di perdere il contatto con il mondo della realtà. Di Guido Tatafiore vengono esposte in questa mostra alcune delle ultime opere, tavole sulle quali egli incollò codici alfabetici e numeri, scolpiti sul legno e successivamente dipinti. Si trattò probabilmente di un'azione gestuale di notevole significato e di un voluto ritorno al « segno primario », da cui dipartire per un 'indagine più completa sulla conoscenza. Carmine Di Ruggiero, creativo e fecondo artista, tra i napoletani più lucidi di questo secolo, è presente nella mostra del « Suor Orsola » con la ormai arcinota ricerca sul triangolo, un'indagine che fu al centro del dibattito critico. Anche se Di Ruggiero abbandonò quella strada per dare vita ad una pittura che fondeva ragione e natura, si deve ammettere che l'operazione sul triangolo si dimostrò una felicissima analisi dei corpi geometrici fermi nello spazio. Certo, il pittore non era partito dalle posizioni di Capogrossi, che, osservando l'alfabeto dei ciechi, aveva creato il famoso « formicone », immettendolo in un linguaggio astratto-surreale fondato sull'intercambiabilità dei segni, visti come elementi di un discorso sull'imprevedibile. E questo perché per il grande artista la maggiore ambizione fu quella di inventare un codice linguistico, anch'esso ripetitivo, ma visto come elemento di rappresentazione di una realtà fantastica estremamente cangiante, costituita da miriadi di simboli identici che s'incontravano sullo spazio della tela. Tutto l'incontrario dell'operazione di Di Ruggiero, che aveva fondato il proprio disegno creativo sul Costruttivismo. Carmine Di Ruggiero s'era imposto, appena ventenne, all'attenzione della grande critica, con una singolare ricerca all'interno dell'informale. Che nella operazione dell'artista napoletano è stato all'altezza della migliore pittura naturalistica astratta italiana e forse europea. L'artista napoletano era acceduto a questa tematica provenendo da un Post-Cubismo in cui si manifestava chiara l'assimilazione di certi aspetti del Barocco napoletano. Nelle opere di tale periodo si poté constatare come nel pittore predominasse, fin dalle prime esperienze post-cubiste, non soltanto l'elemento gestuale e la pulsazione emotiva, ma anche la visione avanzata ma matura dei problemi della pittura. Il Di Ruggiero post-cubista, piccolo maestro, era capace di intravvedere, ancorché operante in una città dal naturalismo trionfante, la possibile via d'uscita, verso una investigazione che oltrepassasse i limiti angusti di una ricerca non più all'altezza dei modelli europei. Certo, se Di Ruggiero abbandonò l'operazione sul triangolo per recuperare una pittura non tutta « di testa» ma chiaramente portata a recuperare una parte della sua operazione informale, ci dovette essere un motivo. Forse l'artista cambiò modulo creativo perché preso da timore che il suo discorso astratto si potesse cristallizzare in un prevedibile e forse troppo razionale giuoco di « forme primarie» simili; forse egli volle recuperare il suo diritto ad inventare; forse, ancora, tornò a ridurre la realtà a simbolo per concretizzare un discorso in cui la ragione non avesse più il completo dominio sulla poesia. È infatti chi osservi prima le investigazioni sul triangolo e poi quelle più recenti, si accorge che se la pittura del Di Ruggiero di oggi opera una mirabile sintesi tra il periodo di « Geometria e Ricerca» e quello assai più libero dell' Informale, vuol dire che nulla è stato inutile e tutto s'è fuso nel crogiuolo della memoria. Gianni De Tora, più giovane di tutti e tre gli artisti di cui ho analizzato l'opera all'interno dell'operazione « Geometria e Ricerca », rimane non soltanto un indomabile sostenitore della necessità di indagare sulla forma geometrica e sulle sue implicazioni nel linguaggio generale dell'arte, ma appare assai interessato ad analizzare più di ogni altra cosa il linguaggio della ragione sottoponendolo ad una serie di controindicazioni e a sostenere le prerogative della pittura nel quadro del processo percettivo. L 'occhio dunque risplende nel suo ruolo di supremo regolatore della creazione artistica. Partendo da queste premesse, De Tora ha portato avanti con estrema concentrazione una indagine sullo spettro solare, giuocando abilmente sulle variazioni tonali i più tenui o più accese secondo preordinate disposizioni con un punto di confluenza da cui si determina la massima perdita cromatica. Sebastiano Brizio ha analizzato assai bene il De Tora. « Per il pittore - dice l'acuto osservatore - la percezione visiva, macroscopicamente espansa nella sua fenomenologia ottica, riporta in queste indagini calcolate sulla maternaticità dei rapporti forma-colore al concetto tipico del processo quadricromico della stampa, ove l'accostarsi più o meno intenso di forza retinata dei quattro colori di base determina la lettura reale del colore riprodotto ...». A sua volta il pittore afferma che la libertà creata dalla poesia illusoria dello spazio non costrittivo , non geometrico, aperto, assomiglia sempre più ad un romantico sogno di rigetto: « rigetto di entità astratte che non si sapevano dominare per ignoranza, per incultura, per incertezza ». E prende così piede, secondo De Tora, la consapevolezza che, comunque, una struttura organizzativa, nell'ambito di un discorso c'è e non è possibile eluderne la presenza. «Questo spiega », continua l'originale ricercatore, «il recupero delle forme geometriche da parte degli operatori che hanno tentato la via del figurativo, prima, e dell'Informale, poi. Il geniale pittore conclude così: «Più volte ho notato che diversi pittori informali, tra i loro segni di libertà, tra le macchie, con pieni e vuoti davano, nonostante i maldestri tentativi di celarIe, delle immagini strutturali ... ». Per De Tora, insomma, la forma finisce sempre per assumere modificazioni varie. La si può annullare o esasperare, la si può costringere entro schemi artificiosi, ma finisce sempre per ritrovare sé stessa ... Riccardo Riccini, spentosi poco più che trentenne dopo una esistenza breve e tormentata, fu un artista di grandi intuizioni e di sofferto talento. Per questo motivo, egli fu accolto alla pari, nonostante la sua giovane età. da pittori di grande notorietà ed assai rispettati, come Barisani, Tatafiore e Di Ruggiero: che, nel dare vita al Gruppo di «Geometria e Ricerca », vollero accanto a loro colleghi capaci di mettere a fuoco geniali progetti e di dedicarsi con passione all'evoluzione dell'arte astratta. Riccini, spirito libero e capace di guardare al di là del presente, si pose in una posizione di centralità nella investigazione d'avanguardia, seguendo soltanto il suo magnifico istinto e rifiutandosi di privilegiare l'indagine neo-costruttivistica, ai danni di quella naturalistica astratta. Come ho fatto capire, il precoce ricercatore fu fondamentalmente un concretista, che, per un certo tempo, sembrò quasi seguire la strada tracciata da Achille Perilli, per il quale, ancora oggi, la forma non è rappresentata dalla propria apparenza e cioè dall'immagine di sé stessa, ma offre la possibilità di andare alla scoperta degli intimi segreti che essa nasconde. In questo modo, secondo il celebre maestro romano, si può venire a capo di ciò che di fenomenico avviene al di là del sipario dell'immagine, in modo da interpretare tutte le possibili contraddizioni che si possono verificare al suo interno della forma. Riccini dimostrò che questa interpretazione era frutto di un equivoco. A lui non interessava il mistero che l'immagine cela continuamente, ma soltanto di dimostrare l'esistenza di un metodo, di un processo mentale, di un motivo di analisi. Il linguaggio, per Riccini, da fine si trasformava in mezzo, da strumento per inquisire, in oggetto analizzato. Insomma, nella sua fugace apparizione, Riccini anticipò l'attuale arte concettuale, facendo comprendere, a chi non l'aveva capito, che a lui interessava lo sfalsamento del baricentro fra opera e artista, nel senso che la riflessione su ciò che sta a monte dell'oggetto si sostituiva all'oggetto stesso. Giuseppe Testa, scomparso qualche anno fa poco più che cinquantenne, si fece conoscere all'inizio degli anni settanta per aver fondato, assieme a Palamara e a Trapani, il Gruppo «Nuovo Costruttivismo ». Avvicinatosi a Barisani, l'esordiente artista si dedicò anche lui al «gioiello struttura », esponendo più volte anche con Bruno Munari. Entrato con qualche anno di ritardo nel gruppo «Geometria e Ricerca », Testa si mise in luce per la progettazione di «lastre acriliche fruibili». Le immagini di questo complesso ricercatore, si prestano ad una lettura binaria; tendono cioè a sfuggire ad ogni calcolo dell'occhio e nel contempo, secondo Toniato che lo presentò in varie mostre, riaffermano la concretezza di una vera oggettività plastica. Ed è giusto affermare che nell'opera di questo appassionato sperimentatore domina una dimensione quasi irreale. Riccardo Trapani, cinquantacinquenne artista che, come ho detto, ha lavorato spesso in tandem con Testa, è uno dei più personali ma anche uno dei più modesti operatori napoletani. Entrato anche lui in « Geometria e Ricerca» qualche anno dopo la fondazione del gruppo e dopo aver vinto alcuni importanti premi, ha tenuto personali in quasi tutte le grandi città italiane ed è tenuto nel giusto conto dalla critica più autorevole. Giustamente Maria Antonietta Picone, che presenta la mostra del « Suor Orsola» sul catalogo della manifestazione, tiene a precisare la componente ludica della ricerca di Trapani, al quale riconosce «capacità d'esercizio fantastico ed analitico», all'interno di un'operazione chiaramente costruttivistica. È evidente che come tutti gli altri protagonisti del gruppo guidato da Barisani, anche Trapani opera a livello unidimensionale e polidimensionale, ponendosi chiaramente in bilico tra ricerca pittorica ed indagine plastica. Certo in alcuni degli artisti di «Geometria e Ricerca» (vedi lo stesso Barisani, Tatafiore, Di Ruggiero e Trapani) è la passione plastica a trionfare. Negli altri, nonostante tutto, l'esercizio pittorico rimane la base fondamentale della ricerca. |
ARTICOLO DI MAURIZIO VITIELLO SU '' IL GLOBO'' IL 17.2.1996 |
De Tora oltre la geometria ...De Tora, artista che ha sempre puntato alla e sulla professonalità. Con il Gruppo ''Geometria e Ricerca'' ha ridato vigore all'astrattismo geometrico, declinandolo grazie a giuste valenze cromatiche, a precipitati veli lirici e ad annotazioni segnico-musicali. Questa compagine, a cui aderirono Barisani, Di Ruggiero, Riccini, Tatafiore, Testa, Trapani e De Tora, ha registrato un successo di critica ed interessamenti degli "addetti ai lavori". Per l'ultima mostra al Suor Orsola Benincasa, su cui abbiamo ampiamente riferito in questa rubrica, la stampa ha risposto in modo compatto storicizzando l'evento espositivo. Con giochi cromatici su scansioni ritmiche De Tora determina effetti singolari e sagoma ordinate di modularità. Pittura, quindi, quella di Gianni De Tora, ormai esperta, abile ed armonica, che, in fondo, precisa impronte coloristiche, rese da inventari di toni e di timbri, tutte tese a colloquiare, intimamente, con le rette, i segmenti e le curve di costruzioni logiche. |
ARTICOLO DI MAURIZIO VITIELLO SU ''IL GLOBO'' IL 27.1.1996 |
L'angolo della cultura -Arti visive Napoli presenta in questo periodo, in spazi pubblici ed in centri privati, esposizioni di forte interesse, che meritano di esser visitate, con particolare attenzione ed estrema partecipazione. AlI'Istituto Suor Orsola Benincasa con la presenza alla tavola rotonda di Enrico Crispolti, Gillo Dorfles, Luigi Paolo Finizio, Mariantonietta Picole e Angelo Trimarco si è accesa la discussione storica sul gruppo di operatori di "Geometria e Ricerca", alla presenza di un folto pubblico composto da artisti di varie tendenze, galleristi, studenti universitari di alcuni corsi, da quello dei "beni culturali" a "storia dell'arte", amatori d'arte, mercanti, critici, giornalisti, direttori di musei ed altri "addetti ai lavori", appassionati alle vicende, intricate ed intriganti, delle arti visive napoletane dal dopoguerra sino ad oggi. Mi sembra il caso di riportare quanto segnalato nell' invito: "Nel 1976 con la denominazione Geometria e Ricerca si è formato a Napoli un gruppo di artisti che ha ripreso e modificato la tradizione astrattista, radicata nella città fin dagli anni del secondo dopoguerra.Vi hanno aderito Renato Barisani, Gianni De Tora, Carmine Di Ruggiero, Riccardo Alfredo Riccini, Guido Tatafiore, Giuseppe Testa, Riccardo Trapani. Il geometrismo di questo gruppo napoletano è molto lontano dalla seriosità di Mondrian o di Malevic, così come dalle ricerche funzionali della Bauhaus, mentre sembra recuperare un ir- refrenabile istinto ludico di marca dada e specificamente duchampiana, insieme ad un bisogno cognitivo e analitico che, almeno in parte, consente di accostarli alle istanze concettuali. La geometria, dunque, assume una funzione di metrica universale e di chiave per penetrare i segreti del mondo, ma è anche un sistema per mettere a nudo finzioni ed illusionismi. Torna attuale, solo in parte, la concezione che aveva Platone della "bellezza", con un tasso di empirismo e di ricerca combinatoria estraneo, tuttavia, al filosofo greco: "Ciò che io intendo per la bellezza delle forme non è come intenderebbe il volgo, ad esempio la bellezza dei corpi viventi, o la loro riproduzione a mezzo del disegno. Io intendo le linee rette e curve, le superfici ed i solidi che derivano dalla retta e dal cerchio, coll'ausilio del compasso, della riga e della squadra". (Platone, Filebo). Molti di coloro che partecipano ad occasioni di profilo, come quella offerta dal gruppo "Geometria e Ricerca", intendono comprendere quali siano stati gli agganci avuti da artisti, aggregazioni e gruppi napoletani e campani con movimenti nazionali ed internazionali, se legami siano stati istituiti con centri culturali di prestigio, se idee siano state scambiate alla pari ed, ulterior- mente, se da queste relazioni vi sia traccia partenopeo-mondiale consistente nella cultura dell'uomo contemporaneo-cittadino del mondo. Domanda alta come si vede, a cui ha egregiamente risposto Gillo Dorfles, che si è espresso con l'occhio del fruitore futuro. Chi verrà fra 100 o 200 anni guarderà alla linea astratta, che parte dall'inizio del XX secolo, come continuazione storica di messaggi visivi e di valutazioni analitico- concettuali in cui s'inserisce anche il gruppo "Geometria e Ricerca". Crispolti, Finizio, Picone e Trimarco hanno, con meditati appunti e sottili riflessioni, considerato di valore questo gruppo di seri operatori, che, seppur tra difficoltà ed ostacoli, ha precisato una continuità con le posizioni del M.A.C., ma anche notevoli differenze sugli orientamenti di fondo dato che ognuno ha assunto all'interno rilievo autonomo. Scrive, tra l'altro, Mariantonietta Picone Petrusa, nel saggio del catalogo (di segno diverso dall'altro di Angelo Trirnarco): " ... ciascuno di loro aderisce al gruppo secondo istanze di necessità del tutto personali, senza avvertire il condizionamento di alcun problema preciso. Per questa ragione ogni artista finisce con l'assumere una fisionomia autonoma, in una autonoma declinazione dell' assunto geometrico di partenza. La geometria, dunque, per loro si configura non già, o non solo, come un insieme di regole e postulati, bensì come un immenso campo virtuale in cui giocano un ruolo fondamentale i concetti di eccentricità, modularità, illusionismo, analisi concettuale; in defmitiva la geometria diventa un formidabile filtro cognitivo rispetto alla realtà, ma anche un principio di libera autodeterminazione dell' opera". Ad ottobre del 1979 dedico una scheda-recensione al poderoso libro "L'immaginario geometrico", curato da Luigi Paolo Finizio, pubblicato dall'Istituto Grafico Editoriale Italiano, di Rodolfo Rubino (e non dall 'Edifraf, come segnalato erroneamente al Suor Orsola) ed alcune trasmissioni su radiolibere e su telemittenti private, con alcuni elementi del gruppo negli studi ('80-'82), perché "Geometria e Ricerca" saliva sempre più alla ribalta con una certa coerenza, tra successioni espositive e segnalazioni critico-letterarie. E non mancai, infatti, di scrivere, poi, sulla rivista mensile "Politica Meridionalista" (maggio '80) per la mostra al Museo del Sannio di Benevento. Oltre ai componenti del gruppo "Geometria e Ricerca", che meriterebbero tutti un oculato approfondimento nelle prossime settimane in questa rubrica, bisogna considerare che anche altri artisti si sono misurati, con esiti diversi, con l'astrattismo- geometrico. Vale ricordare, ad esempio, la mostra "Coniugazioni geometriche" che curai allo "Studio Ganzerli", con lo stesso Barisani, Enea Mancino, Marina Albanese e Augusto De Luca (fotografo) e quelle esposizioni realizzate, negli anni Novanta, da Edoardo Ferrigno, Antonio lzzo, Mario Lanzione ed Enea Mancino ed altre intermedie, con formazioni allargate e variegate, negli anni Ottanta. Certamente il catalogo, che correda questa rassegna al Suor Orsola - assolutamente da visitare - è da consultare perché propone interessanti profili degli artisti e seri motivi d'indagine e di serrata analisi critica. Un pensiero, in conclusione; a chi oggi manca all'appello: Riccardo Alfredo Riccini (scomparso nel 1992), Giuseppe Testa (nel 1985), Guido Tatafiore (nel 1980). |
foto di repertorio |
ARTICOLO DI VITALIANO CORBI SUL QUOTIDIANO ''LA REPUBBLICA'' NAPOLI DEL 14.1.1996 |
Mostra al Suor Orsola, ripensando all'astrattismo Quando l'arte è solo geometria Con una tavola rotonda, presieduta da F. M. De Santis, e l' inaugurazione di una mostra l'Istituto Suor Orsola Benincasa ha ricordato un'interessante pagina dell'arte a Napoli. L'attività del gruppo ''Geometria e Ricerca" - costituito nel 1976 da Barisani, De Tora, Di Ruggiero, Riccini, Tatafiore e Testa, cui s'aggiunse l'anno dopo Trapani - rappresenta, infatti, un significativo segmento di quella linea astratta che nella città è stata forse minoritaria rispetto ad altre più divulgate tendenze artistiche, ma che ha lasciato un segno prodotto nelle vicende di tutta la seconda metà del secolo, a partire, appunto, dal 1950, quando nacque il gruppo napoletano del Mac. Questi pionieri dell' astrattismo (tra cui troviamo già Barisani e Tatafiore) avevano coltivato la generosa illusione di «inserire - com' essi stessi dicevano - il lavoro artistico nella produttività contemporanea, dall' architettura alla produzione industriale». Con «Geometria e Ricerca» l'attenzione si sposta invece dal ruolo sociale dell' arte alla sua dimensione linguistico-conoscitiva. Tra i meriti degli artisti di «Geometria e Ricerca» c'è quello di non aver abbandonato il terreno specifico delle pratiche artistiche e di aver continuato a dipingere quadri e a realizzare oggetti artistici. Le loro opere, in cui le forme dell'immaginario geometrico appaiono sospese tra fantasia e spirito critico, documentano oggi una volontà di resistenza culturale al processo di mercificazione, che proprio in quegli anni - con la diffusione delle tecnologie avanzate e dei nuovi modi di comuni- cazione nella società dei consumi di massa - incominciava a diventare così pervasivo da coinvolgere non più l'opera d'arte in quanto possibile oggetto di scambio, ma l'intero campo della produzione dei linguaggi e dei comportamenti. |
ARTICOLO DI VINCENZO TRIONE SUL QUOTIDIANO ''IL MATTINO'' DI NAPOLI DEL 23.1.1996 |
In mostra al Suor Orsola ''Geometria e Ricerca'' Un sogno di novità per sette artisti La mostra curata da Mariantonietta Picone presso il « Suor Orsola Benincasa » ha un notevole me- rito. Offrendo uno sguardo retrospettivo su «Geometria e Ricerca», il movimento formatosi a Napoli nel 1976, a 20 anni di distanza, fa discutere sul senso dell'attività e delle proposte di quel gruppo suddiviso in tre nuclei generazionali: Barisani e Tatafiore (nati a ridosso degli anni '20), Di Ruggiero (nato nel 1934), e i più giovani De Tora, Riccini, Testa e Trapani (nati attorno agli anni '40). A quelle esperienze, di fatto, sembrano anche legati alcuni lavori del più giovane del gruppo, Riccini. Su un fronte più «concretista» e «spazialista», invece, si muovono Barisani - il «grande vecchio» - Di Ruggiero, De Tora, Testa, Trapani e (ma solo in parte) Guido Tatafiore, i quali, ricollegandosi a una linea di ricerca astratta che a Napoli era sempre stata «minoritaria», puntano a rendere problematica e, talvolta (si pensi a Struttura oscillante di Barisani), disarmonica, una disciplina assiomatica e «cartesiana» come la geometria. Così facendo, questi sette artisti napoletani arrivano a proporre «una autonoma declinazione dell'assunto geometrico di partenza». Per un verso essi si inseriscono in quella tradizione anti-espressionistica, non-figurativa, e prevalentemente geometrica, giocata su accordi cromatici netti e su forme ben definite, inaugurata da Van Doesberg; per un altro verso, si ricollegano alle ricerche pittoriche, attente alla purezza formale e spaziale, inseguite dal M.A.C. (il movimento formatosi a Napoli nel 1950 di cui facevano parte anche Barisani e Tatafiore). Rispetto a queste ultime esperienze emerge chiara la carica innovatrice di «Geometria e Ricerca», che, però, sembra attenuarsi - come mette in rilievo in catalogo Angelo Trimarco - se si confrontano i lavori dei «magnifici sette» non solo con le precedenti ricerche dei concettuali americani e inglesi, ma anche con gli esiti analitici di certa pittura francese tra gli anni Sessanta e Settanta. A differenza dei concettuali, gli artisti di «Geometria e Ricerca», infatti, affermando di preferire al «rappresentare» il «formare» perché esso è espressione di «un impegno morale di partecipazione alla realtà», sottolineano il loro bisogno di confrontarsi con il mondo del visibile. In un formare sempre rivolto ad affermare l'assoluta centralità di una libera, ma strutturata, creazione cromatica. |
STRALCIO DAL TESTO REDATTO DA MARIANTONIETTA PICONE PETRUSA SUL CATALOGO DELLA MOSTRA |
Il Gruppo Geometria e Ricerca Con questa denominazione si forma nel 1976 un gruppo di artisti che intende riprendere e rinnovare la tradizione astrattista che a Napoli, come è noto, aveva trovato un saldo radicamento nel secondo dopoguerra con l'adesione di alcuni artisti al MAC (Movimento Astratto Concreto). Del MAC napoletano, collegato a quello milanese ed attivo dal 1950 al 1954, avevano allora fatto parte Renato De Fusco, Antonio Venditti, Renato Barisani e Guido Tatafiore. Furono proprio questi ultimi due a partecipare successivamente, insieme ad artisti più giovani, al gruppo Geometria e Ricerca, creando di fatto una continuità fra le due situzioni. Una funzione di "cerniera" fra i più "vecchi" esponenti dell'astrattismo napoletano ed i più giovani Gianni De Tora, Riccardo A. Riccini, Riccardo Trapani e Giuseppe Testa è poi svolta all'interno del gruppo da Carmine Di Ruggiero, appartenente, sia come età anagrafica che come formazione pittorica, ad una generazione di mezzo. Tuttavia, se il rigore costruttivo del quadro e la voluta negazione di qualunque accento espressionistico - o almeno di un suo controllo attraverso una pratica di estremo "raffreddamento" - costituiscono elementi di precisa continuità con le posizioni del MAC, differenze sostanziali si pongono soprattutto quando andiamo a rileggere il famoso manifesto Perché arte concreta, redatto nel 1954 da De Fusco, per puntualizzare gli orientamenti di fondo del gruppo concretista. Intanto c'è da dire subito che gli artisti di Geometria e Ricerca non avvertono più l'esigenza di un vero manifesto. Si limiteranno ad inviare nel 1975, prima che il gruppo sia formato, quando cominciano appena a confrontarsi sul piano teorico, una lettera alla rivista "Arte e società" di Roma che, tuttavia, non viene pubblicata. (1) Quando Geometria e Ricerca sarà un fatto storicamente compiuto, attraverso la mostra allo Studio Ganzerli nel 1976 e quella all'American Studies Center nel 1977 a Napoli, e poi ancora alle gallerie Il Salotto di Como e Studio 2B di Bergarno (2), ciascuno di loro aderisce al gruppo secondo istanze di necessità del tutto personali, senza avvertire il condizionamento di alcun programma preciso. Per questa ragione ogni artista finisce con l'assumere una fisionomia autonoma, in una autonoma declinazione dell'assunto geometrico di partenza. La geometria, dunque, per loro si configura non già, o non solo, come un insieme di regole e postulati, bensì come un immenso campo virtuale in cui giocano un ruolo fondamentale i concetti di eccentricità, modularità, illusionismo, analisi concettuale; in definitiva la geometria diventa un formidabile filtro cognitivo rispetto alla realtà, ma anche un principio di libera autodeterminazione dell'opera. Precisano infatti nella citata lettera del 1975: " ... il comune riferimento alla geometria non è sola e semplice applicazione di una logica della deduzione ma la considera anche proiezione e strumento 'storico' di riconoscimento e riorganizzazione del percepito; ciò in quanto la geometria, non idealisticamente, è uno strumento umano, una metrica, di identificazione e analisi, rinvenimento e attribuzione di significato, infine di ricostruzione articolata dei prelievi della realtà osservata. E questa è tanto quella della memoria o della storia specifica della disciplina arte, tanto della ragione, del conscio, che delle pulsioni inconsce". Può sembrare strano che come epigrafe della principale monografia dedicata al gruppo, quella di Luigi Paolo Finizio (3), sia stata scelta un frase in cui Breton ricorda l'opera di Duchamp, Ready-made malheureux, del 1919, in questi termini:" ... il regalo di Duchamp per il compleanno della sorella, che consisteva nel sospendere ai quattro angoli del balcone di costei un libro di geometria aperto per farne lo zimbello delle stagioni ... ". In realtà, rispetto alle tradizioni astratto-concrete delle prime e delle seconde avanguardie, il geometrismo di questo gruppo napoletano è molto lontano dalla seriosità di Mondrian o di Malevic, così come dalle ricerche funzionali della Bauhaus, mentre sembra recuperare un irrefrenabile istinto ludico di marca dada e specificamente duchampiana, insieme ad un bisogno cognitivo e analitico che, almeno in parte, consente di accostarli, come aveva già a suo tempo osservato Menna (4) , alle istanze concettuali. Il filo che unisce Duchamp ai concettuali è stato già ampiamente studiato (5). Naturalmente in questa sede dell'artista dada ci interessa non tanto la sua carica provocatoria, ma la sua capacità di interrogare l'opera, di mettere in questione l'apparato epistemologico dell'uomo, le sue "certezze" scientifiche. Di qui, ad esempio, i suoi numerosi studi sulla prospettiva e su tutte le forme di illusionismo ottico per quanto attiene la virtualità plastico-volumetrica. E sono proprio questi gli aspetti della ricerca di Duchamp che più interessano i nostri artisti. Nell'indagine spaziale Duchamp cercava, come è noto, di approssimarsi ad una quarta dimensione, ai nostri artisti basta svelare ed analizzare il meccanismo di finzione che sottende la costruzione dell'opera, il suo dispositivo di funzionamento. L'opera dunque ha una sua vita autonoma ed in questo continua ad essere "concreta", nel senso che ha storicamente tale termine, ma è anche l'occasione per evidenziare e mettere a nudo i nostri apparati cognitivi, i nostri strumenti percettivi, i codici convenzionali del nostro "vedere", iscritti dentro una precisa cultura occidentale. E, tuttavia, per Geometria e Ricerca l'indagine e la responsabilità etica del proprio lavoro torna ad essere individuale; nel gruppo si cerca solo un appoggio e una più generale e generica consonanza. L'atteggiamento è profondamente cambiato rispetto a quello degli anni Cinquanta, quando gli artisti del MAC napoletano affermavano di voler "formare" piuttosto che "rappresentare", poiché, "formare è un impegno morale di partecipazione alla realtà, esprime la coscienza di essere nella realtà, è agire". Allora l'aspirazione profondamente sentita e solo in minima parte soddisfatta era quella di "inserire il lavoro artistico nella produttività contemporanea, dall'architettura alla produzione industriale", e questo naturalmente implicava "la rinuncia di una creatività individualistica per la collaborazione con altri artefici (6). Anche nella lettera del 1975 si parla di una convergenza dei firrnatari su una "ipotesi, “costruente”, sul valore didattico e “politico”'' della loro azione, ma il discorso si sposta nella direzione di "un confronto sul linguaggio specifico e storico di un cultura emarginata, l'arte, sul suo metodo"...... Gianni De Tora Provenendo da ricerche figurative ed espressionistiche dei suoi anni di formazione, oltre che da letture impegnative - Kafka e Freud - almeno sul versante dell'autointrospezione, il suo approdo alla geometria intorno al 1970-72 e poi la sua partecipazione alla gestazione del gruppo Geometria e Ricerca fin dal 1975 si connotano in modo particolare. È stato affermato da Crispolti (7) e non a sproposito, che il suo geometrismo ha un inconfondibile sapore "lirico" che si configura in modo del tutto personale. Se per De Tora dobbiamo scegliere fra i due termini "astratto" e "concreto", che si trovano in opposizione sul piano teorico, propendiamo senza dubbio per il primo, almeno ad uno sguardo iniziale, per poi ricrederci e puntare sul secondo. II termine "astratto" allude, infatti, ad un processo che parte da un referente naturale e per via di graduali astrazioni se ne allontana, mantenendo tuttavia un labile aggancio con la realtà di partenza, mentre il termine "concreto" si riferisce ad una realtà geometrica costruita ex novo, senza riferimenti a nessun elemento naturale, ma sulla base di una sorta di grammatica e di sintassi del tutto autonoma. De Tora certamente parte dall'astrazione, come attestano le sue analisi sulla luce, che presenta come indagini costruttive sul "sole" ( vedi le opere del 1973-74), ma per arrivare a mettere a punto, attraverso le sue Sequenze, una "grammatica generativa"; proprio come nella linguistica, possiamo immaginare, infatti, una "matrice prima", in grado di dare origine a tutti i possibili linguaggi, in questo caso pittorici. Anche per lui, come per Di Ruggiero o per Testa, la costruzione dell'opera si fonda su un precario equilibrio fra elementi visivi di segno opposto: il quadrato forma statica per eccellenza -, utilizzato come contorno ed iterato poi dalla quadrettatura di molti fondi, contiene al suo interno un cerchio, metafora del moto perpetuo; le diagonali, linee essenzialmente dinamiche, presenti in moltissime opere di De Tora, annullano qualunque allusione al movimento sia mediante il loro incrocio a chiasmo sia attraverso i tagli delle orizzontali. E tutto questo, attraverso una progressione sequenziale che varia, insieme all'analisi dello spettro solare, la "quantità" di opposizione dei termini in gioco. La sensazione finale che si prova a contatto con tali ricerche è quella di chi si sente investito direttamente da un flusso vitale ed emozionale, solo che questo flusso ha assunto le caratteristiche e le forme dei frammenti di un grande caleidoscopio.….. |
Note:
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TESTO DI ANGELO TRIMARCO PRESENTE SUL CATALOGO DELLA MOSTRA |
Geometria e Ricerca Dalla nostra distanza - sul finire del secolo- è possibile, spero, ragionare di "Geometria e Ricerca" con animo rasserenato. Del resto, dei Magnifici Sette Guido Tatafiore, Giuseppe Testa e Riccardo Riccini ci hanno lasciato per sempre, mentre altri artisti continuano a sperimentare, appartati dal rumore del mondo, i loro rapporti con l'arte, pittura o scultura che sia. Fra di loro c'è, però, Renato Barisani, il Grande Vecchio, che, mai domo, lavora ancora con il fervore e l'inventiva degli anni passati. Una condizione di pace per tutti (per quanto possibile, si capisce): per gli artisti e per i critici. Per dire (o tornare a dire) cosa? Anzitutto, che Geometria e Ricerca, al di là di ogni celebrazione, non è l'estremo filo di voce di una tradizione ormai stanca. Ma, nella linea della migliore cultura artistica napoletana, è un'esperienza dignitosa al passo con la storia. Con quella trama fittissima (e diversamente orientata) che, in Europa e negli States negli anni Settanta, ha attraversato la via lunga del teorico e della riflessione, dell'analisi degli strumenti della pratica pittorica. Di questa via, alla metà (e poco oltre) del decennio, Geometria e Ricerca - il lavoro, dunque, di Barisani , De Tora, Di Ruggiero, Riccini, Tatafiore, Testa, Trapani, per metterli in fila tutti - è un momento credibile, come ha notato Menna, anche se meno risplendente di altri. Dell'arte concettuale e di Art & Language, di Supports/Surfaces e della stessa Pittura italiana, dell'Iperrealismo o della Narrative Art. Tuttavia, uno spazio in cui lavora sulla costruzione dell'opera e sul suo funzionamento, sui rapporti che ne fanno una struttura. Anche se questa parola viene usata con cautela. Il filo che lega Geometria e Ricerca al MAC -alla ricerca di Barisani, De Fusco, Tatafìore e Venditti - , ai primi anni Cinquanta, è proprio l'idea che l'esperienza artistica è un fare e il fare è un formare. Un formare, si legge in quell'intensa dichiarazione di poetica del '54 Perché arte concreta, che è "impegno morale", "coscienza d'essere nella realtà'' , ''agire'': ''I nostri pannelli e strutture sono delle forme nelle reali dimensioni, nel loro colore, realizzate nella loro materia". Dunque, è ancora il formare, l'eredità del MAC, a divenire, dopo le avventure dell'lnformale nel teatro perturbante della vita e i movimenti più recenti dell'arte di comportamento lungo e dentro i bordi del corpo e delle sue estenuazioni, il taglio per tornare a pensare l'arte come ricerca. A difendere la bandiera del Mac ci sono nuovamente, arricchiti da tante altre esperienze, Barisani e Tatafìore, che ha preferito ad un certo punto dedicarsi alla costruzione di barche piuttosto che al lavoro dell'arte. Fra di loro e i più giovani (De Tora, Riccini, Testa, Trapani) fa da ponte Car- mine Di Ruggiero che, nel '73, con la personale al Centro Arte Europa, avolge un discorso che conduce direttamente a Geometria e Ricerca. Per quella mostra ho scritto (e mi scuso per il ricordo) che i suoi lavori "costituiscono una sequenza articolata e strettamente in relazione, un continuurn spaziale, all'interno del quale ciascuna operazione avvia uno scarto minimo (ma tuttavia decisivo)". E ho aggiunto - circostanza che mi pare ancora condivisibile - che i "triangoli di Di Ruggiero non rinviano a una memoria teosofica o mistica, a un ordine di verità rarefatte e inafferrabili". Così come il "colore, luminoso, non rimanda alla biografia dell'artista, alle sue mosse interiori, ma vale per la sua presenza, la sua fisicità, la sua struttura". Questo passo su Di Ruggiero collega il "formare" del Mac alla costruzione dell'opera per via della geometria; una geometria, comunque, temperata nella sua assolutezza dall'esercizio del fare e dall'esperienza, svincolata da qualsiasi tensione utopica. La geometria è, così, soltanto il luogo della costruzione dell'opera, la trama di elementi primari con i quali articolare la superficie, l'insieme di modalità per regolare il ritmo dei colori, il gioco infinito del punto e della linea. Intorno a queste figure - il formare e la geometria - si gioca l'intero destino di questo gruppo che, ricollegandosi al Mac, aspira però ad incontrare altre situazioni, in Italia e in Europa, orientate a pensare l'arte come analisi e tessitura semiotica. Non è proprio un caso, credo, se Riccini, che è anche stato un bravo critico, abbia dedicato insieme a Mariantonietta Picone una lunga riflessione su1 Il 'ritorno' della pittura. Su uno di quei confini che hanno segnato la "linea analitica dell'arte moderna". Ma la riflessione di Geornetria e Ricerca sull'arte come esperienza del formare e lavoro sulla geometria è stata – pur nella sua esemplarità - una vicenda destinata a consumarsi fra le opposte radicalità dell'arte di comportamento e delle ricerche analitiche. Adesso, negli anni Settanta, la questione ruota intorno alle esigenze opposte (ma radicali) dell'opera che sconfina, disseminandosi, nello spazio del vivere o si concentra sulla convenzionalità del proprio linguaggio. Fra queste radicalità c'è, così, poco spazio per soluzioni temperate: per il formare e il costruire more geometrico. Di questo schiacciamenlo (e mi rendo conto che è una brutta parola) sono testimonianza i luoghi stessi dove sono avvenute le mostre del Gruppo: lo Studio Ganzerli nel '76 e l'anno successivo l'American Studies Ceruer, a Napoli, e, poi, Il Salotto, a Como, la Galleria 2B a Bergamo. Perché questo sia accaduto non può essere imputato soltanto al Mercato che è sempre neocapitalista, al destino che è crudele, alla critica che, accecata dai bagliori newyorkesi, scambia lucciole per lanterne. Con chiarezza bisognerà riconoscere che il gruppo Geometria e Ricerca ha recato allo svolgimento dell'arte - segnatamente dell'arte a Napoli- un contributo onesto e serio. Sottolineando che la pittura è conoscenza: un formare e un costruire attraverso le forme primarie della geometria, un lavoro in bilico fra esercizio sapiente delle mani e tensione analitica. Solo che questo progetto, per quanto rigoroso, resta ancora legato a modelli che non riescono a dare conto pienamente della complessità delle domande che l'arte pone in quegli anni. Anzitutto, della domanda sulla convenzionalità del suo sistema semiotico. Così, la stessa proposta di Menna, distante dalle letture di Crispolti e di Finizio, di interpretare più esattamente Geometria e Ricerca come "una indagine analitica interessata soprattutto a una riflessione sull'arte e sul linguaggio dell'arte" indica, piuttosto, un'esigenza e un rovello che un esito compiuto. Soltanto Renato De Fusco, della radice antica del MAC, si è spinto oltre il formare, verso l'analisi strutturale e la semiotica. Ma questo spostamento lo ha compiuto - lo sappiamo - non come artista (giacché presto ha smesso questo lavoro), ma come critico e storico della pittura e dell'architettura. |
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